La favola di Tatà Urze
Era tenero e terribile, minaccioso e indifeso.
Il pastore iniziò ad avvicinarsi lentamente, attento a non
produrre il minimo rumore. L’idea che la bestia potesse aggredirlo non lo
sfiorò neppure. Pregò invece che non scappasse. E non scappò, infatti. Con
tutti i sensi all’erta continuò ad annusare l’aria, mentre i suoi occhi
inquieti erano fissi sull’uomo che avanzava. Il pastore si trovava ormai a
pochi metri e il grande orso gli parve ancora più grande. Forse era il dio
della montagna, o forse era la montagna stessa. Mai il pastore si era sentito
così piccolo e insignificante! Alzò gli occhi e incontrò quelli dell’animale,
che non l’avevano abbandonato un istante. Sorrise e con una dolcezza mai
provata prima d’allora gli sussurrò: « Tatà urze ». Sollevò quindi,
delicatamente, la poderosa zampa e vide una grossa spina conficcata nel
polpastrello. Tirò fuori il coltello dalla tasca e, prestando la massima attenzione,
con pochi, precisi movimenti estrasse la spina e liberò la bestia dal suo
tormento. Per un istante l’orso non si mosse, poi, come se improvvisamente si
fosse reso conto dell’avvenuta guarigione, iniziò a leccarsi la zampa e lo fece
a lungo, incurante della presenza dell’uomo. Infine si allontanò con un
brontolio di soddisfazione. Il pastore lo seguì con lo sguardo finché non
scomparve nella foresta, e solo quando anche l’ultima eco del suo rumoroso
passaggio si fu spenta, si voltò per fare ritorno a casa. Con fatica riprese la
sua vita di sempre: conduceva le pecore al pascolo, la mattina e la sera le
mungeva, preparava i caci e le ricotte da vendere. Ma il suo cuore era rimasto
nel bosco, con Tatà urze. Avrebbe dato qualunque cosa per sapere dove fosse e
che cosa stesse facendo. Arrivò persino a desiderare che venisse a rubargli
qualche pecora, nella speranza di poter vedere, ancora una volta, la sua grande
sagoma scura. Non dormiva quasi più, sobbalzava ad ogni minimo rumore e, se il
cane abbaiava, si precipitava fuori seminudo scrutando nel buio. Poi tornava
nel suo letto, deluso e infreddolito, e con gli occhi spalancati aspettava che
facesse giorno. Una mattina, mentre spingeva il gregge fuori dallo stazzo, notò che i sacchi con cui era
solito trasportare la legna non erano più al loro posto. Diede un’occhiata
intorno e pensò che il cane, giocando, li avesse trascinati da qualche parte,
ma non li vide e si ripromise di
cercarli meglio la sera al rientro dal pascolo. Le ricerche successive, però,
non diedero risultati migliori: i sacchi erano scomparsi, rubati, forse, da
qualche ragazzino in vena di scherzi. Il pastore non diede peso alla cosa e
smise di pensarci. Munse le pecore, consumò un pasto frugale e se ne andò a
letto stanco morto. Durante la notte il cane abbaiò a lungo e tirò la catena
fino quasi a spezzarla, ma l’uomo non lo sentì: si era addormentato
profondamente e forse stava sognando di aver ritrovato il suo amico orso
perché, nel sonno, sorrideva. All’alba, quando uscì per governare le pecore, la
prima cosa che notò furono i sacchi misteriosamente ricomparsi: erano
appoggiati davanti allo stazzo, nello stesso punto in cui ricordava di averli
lasciati due giorni prima, ma erano stranamente pieni. Chi poteva averli presi,
per poi riportarli? E cosa contenevano? Incuriosito, si avvicinò e vide che
erano colmi di bacche e di frutta selvatica. Un nome affiorò immediatamente
alle sue labbra: «Tatà urze!», non poteva essere stato che lui. Non avendo
altro da offrire per esprimere la propria gratitudine, aveva portato all’uomo i
suoi cibi preferiti. Il pastore alzò gli occhi e frugò con lo sguardo la
boscaglia, ma il grande orso solitario era già lontano. Pagato il debito di
riconoscenza, aveva ripreso a vagare per i mille sentieri sconosciuti del suo
regno incantato.
N.B: La favola che avete appena letto è tratta da una storia vera avvenuta nel Parco Nazione d'Abruzzo, Lazio e Molise! Da questa stessa vicenda è stato anche scritto un libro, intitolato appunto: "Tata Urze. L'orso bruno dell'Appennino centrale (Di Ciro Castellucci, Grafitalia Editore)".
Fateci sapere se la favola è stata di vostro gradimento!
Bella e commovente storia e lo è ancora di più sapendo che è ispirata ad un fatto avvenuto realmente
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